Rosa D’Ascenzo, 71enne romana, fu portata al pronto soccorso con una ferita alla testa il primo gennaio: il marito disse che era caduta dalle scale. Il suo è il primo femminicidio del 2024. Presentano caratteristiche simili le uccisioni di donne over 65, perlopiù commessi da mariti o ex mariti o da figli maschi. Giornalisticamente sono notizie che occupano un posto limitato: non ci sono foto di giovani donne prese dai social, a conferma di quell’ “estetica” della morte alla quale siamo assuefatti, come riporta “L’espresso” – Numero 36 Anno 70; 6 Settembre 2024.
Il database delle donne uccise all’interno di “delitti di genere” in Italia ci dice che 22 delle 54 morte nel 2024 “in ambito familiare-affettivo” come le definisce il report del Ministero dell’Interno, avevano più di 65 anni. Di queste, 17 avevano più di 70 anni.
Tema essenziale per la prevenzione e il contrasto dei reati gravi contro la persona è quello dei “delitti familiari”: un delitto familiare è definito dai professionisti volontari dell’Osservatorio Nazionale sui delitti familiari come un omicidio, un tentato omicidio, un suicidio o un tentato che spesso segue un omicidio o un tentato. Il dato indicativo è quello del grado di familiarità che intercorre tra la vittima e l’autore di un delitto familiare. Dal 2013 i professionisti volontari dell’Osservatorio Nazionale sui delitti familiari raccolgono i dati pubblicati sulle testate nazionali aggiornandoli dopo gli sviluppi investigativi. (AA.VV, 2024).
L’Osservatorio Nazionale sui delitti familiari riporta nel I semestre del 2024 (dal mese di gennaio al mese di giugno) 110 vittime donne (36%), delle quali 52 vittime di omicidio (40,3%), 49 vittime di tentato omicidio (36%), 5 vittime di suicidio (16,7%) e 4 vittime di tentato suicidio (36,4%).
Per quanto riguarda il grado di familiarità tra la vittima e l’autore, 63 (il 20,4%) erano legati da un rapporto di parentela, 132 da un rapporto di conoscenza (42,7%), 57 erano Partner (18,4%) e 16 Ex partner (5,2%). (AA.VV, 2024).
I moventi prevalenti sono: gelosia, possesso, incapacità ad accettare la fine di una relazione, vendetta, rivalsa, paura della solitudine e della vecchiaia, difficoltà ad affrontare la propria malattia o quella del partner, depressione.
La consapevolezza e l’attenzione mediatica non si replica per ogni femminicidio, tanto meno nei casi di uccisione delle anziane, pur rientrando a pieno titolo nella categoria dei delitti da contestualizzare dentro un sistema culturale di disparità nei rapporti di potere che caratterizza la relazione tra uomo e donna, osserva Paola Di Nicola Travaglini, magistrata, consigliera di Corte di Cassazione e consulente giuridica della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio della precedente legislatura.
La manifestazione estrema della violenza perpetrata contro le donne trova origine nei continui atteggiamenti di oggettivazione femminile e nel potenziale di sopraffazione maschile. La ricostruzione mediatica è di solito banalizzata, romanticizzata o drammatizzata.
Nelle testate giornalistiche sembra scarseggiare un’attenta descrizione delle donne che hanno subìto la violenza, le quali vengono invece identificate perlopiù mediante la funzione relazionale rispetto all’omicida e private della propria identità sociale e professionale. A differenza delle vittime, i colpevoli godono di un ampio spazio nella notizia, e la loro identità è posta in risalto. Di conseguenza, anche la violenza da loro compiuta subisce spesso un processo di mitigazione, sia venendo descritta come evento fortuito ed imprevedibile (e quindi non esplicitamente ascrivibile all’omicida), sia suggerendo che sia avvenuta per un concorso di colpe, per cui la vittima stessa avrebbe, attraverso il proprio comportamento, provocato una reazione estrema nell’uomo. Similmente, anche la descrizione del movente contiene elementi che minimizzano la colpevolezza del femminicida: i concetti di litigio, amore e malattia vengono impiegati in maniera eccessiva e limitano esponenzialmente la possibilità di interpretare i femminicidi in maniera critica e trasversale, e si registra una sovrabbondanza di strategie eufemistiche che contribuiscono a ridimensionare la gravità dell’atto violento e che si traducono in una parziale (e talvolta totale) assoluzione del colpevole. La comunicazione giornalistica parrebbe essere essa stessa portavoce di una visione dei rapporti di genere faziosa e iniqua, impedendo di fatto il superamento di quel complesso di logiche di dominio maschile e di subalternità femminile di cui il femminicidio non è che l’estrema espressione. (Abis, Orrù 2016).
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Bibliografia:
L’espresso – Numero 36 Anno 70; 6 Settembre 2024
AIPC Editore Roma, (2024). Campagna Delitti Familiari – I Semestre 2024.
AIPC Editore Roma, (2024). Sintesi Webinar AIPC “L’algoritmo della violenza”.
Abis S., Orrù P. (2016), Il femminicidio nella stampa italiana: un’indagine linguistica, in gender/sexuality/italy, 3, pp. 18-33.